Schiaparelli: l’arte del dubbio, la magia dell’inaspettato

Martedì 23 gennaio 2023, Schiaparelli ha introdotto la Paris Fashion week con la collezione Inferno, omaggio all’opera letteraria di Dante Alighieri e in particolar modo al concetto di dubbio che pervade una creazione: la paura di non piacere e la necessità di impressionare il pubblico e sé stessi.

Come Dante nel mezzo del cammin di nostra vita più si addentra nell’Inferno, più realizza che ogni certezza avuta fino ad allora stia svanendo, allo stesso modo Daniel Rosebarry ha deciso di distanziarsi dalle certezze per proporre qualcosa di nuovo nel dare vita alla collezione Haute Couture Primavera-Estate 2023, accettando lo stesso dubbio costante che pervade l’artista di star realizzando qualcosa di memorabile

E’ nell’esempio della fondatrice della maison, Elsa Schiaparelli, che l’attuale direttore creativo ha trovato la forza di osare: 

“I codici che (Elsa) ha creato, i rischi che ha corso, sono ormai materia di storia e leggenda, eppure anche lei doveva essere incerta, persino spaventata, quando li stava inventando. La sua paura ha stimolato il suo coraggio, cosa che suona controintuitiva ma è la chiave del processo artistico. Avere paura significa che ti stai spingendo a fare qualcosa di scioccante, qualcosa di nuovo”.

Daniel Rosebarry

Infatti, nella Parigi degli anni Venti, Elsa Schiaparelli è coinvolta, come tutta la città, nel vortice della corrente artistica del Surrealismo che più di tutte ha spinto verso una creatività immaginifica capace di assecondare allo stesso modo desideri, dubbi, timori e istintività.

I contatti con il mondo dell’arte si esprimono nella collaborazione con alcuni degli artisti più influenti del tempo, primo tra tutti un giovane Alberto Giacometti, che nella prima fase della sua carriera fu proprio un surrealista, e che per lei disegnò dei bottoni di bronzo dorato che portano nella giacca del tailleur nero del 1938-39 la storia e il valore delle medaglie rinascimentali ancora oggi considerate capolavori della tecnica orafa.

Elsa Schiaparelli, Tailleur nero con bottoni-scultura di Alberto Giacometti, 1938-39

Nella Maison, da sempre, le raffinate abilità dell’artigianato artistico legato al mondo del lusso sono messe al servizio dei desideri degli stilisti di raggiungere un connubio tra la perfezione tecnica di queste arti minori, che ormai vanno scomparendo dalla coscienza comune, e il palcoscenico sotto i riflettori che è la moda, che forse, oltre a fare notizia, è anche in grado di mostrare quanto preziosi siano questi antichi mestieri che di antico hanno solo il nome. 

 Lo scintillio delle paillettes realizzate con lastre di latta rivestite di pelle e le perline di legno che ricoprono interamente una gonna della collezione sono esempio della maestria che permea la realizzazione di queste opere d’arte. Il busto di rame patinato è il preferito di Roseberry, “un lavoro d’amore negli ultimi quattro mesi”.

Il risultato è proprio quello che ci si aspetta dall’arte: stupore e meraviglia per la bellezza delle opere create, e allo stesso tempo l’insinuazione di dubbi e domande sulla natura di questi oggetti d’arte così stupefacenti. Molti abiti sono ispirati alla fascinazione scivolosa, da casa degli specchi, tipicamente surrealista e che si trova anche tra le righe dell’Inferno di Dante: 

“Il luccichio apparentemente cangiante degli abiti a colonna in velluto è dipinto a mano, con pigmenti che cambiano colore a seconda della prospettiva, come le ali di una farfalla; i plastron sono stati scolpiti in strisce ondulate di vera madreperla e con un intarsio di alberi di limone”.

Daniel Rosebarry

Il culmine del dubbio è racchiuso nei tre abiti ispirati alle fiere dantesche, simbolo di superbia, lussuria e avarizia, rispettivamente rappresentate dal leone, la lonza (leopardo), e la lupa. Le modelle avanzano sulla passerella e l’attenzione di chi osserva è catturata dalle teste di belva: sono reali? Certo che no, si tratta di spettacolari creazioni di finta tassidermia interamente realizzate a mano con schiuma, resina e altri materiali artificiali. 

Molti hanno visto in questi abiti un’istigazione alla caccia di creature che ogni anno sono minacciate da bracconieri in Asia e Africa, ma una volta approfondito il processo creativo ci si rende conto che questa è tutt’altro che l’intenzione di Rosebarry. Si potrebbe poi cadere nel tranello semplicistico e leggere nell’abbinata delle tre fiere alla figura femminile una reazione ai pregiudizi -purtroppo non solo medioevali- verso la donna in quanto essere capace di ingannare e corrompere.

Ma, a mio parere, il significato che il direttore creativo intende trasmettere è molto più profondo e si può chiarire facendo riferimento ad un’opera del famoso artista surrealista Max Ernst conservata al Peggy Guggenheim Museum di Venezia: La Vestizione della Sposa. In quest’opera del 1940 l’artista raffigura delle creature ibride, mezze donne e mezze animali che avanzano in un paesaggio di rovine classiche. L’attenzione dell’osservatore è catturata dai forti colori utilizzati e in particolare dal manto con cappuccio di piume fiammeggianti che avvolge la figura principale nascondendone il volto sotto le sembianze di un uccello.

Questa composizione è chiaramente presa a modello da Rosebarry per i tre abiti delle fiere dantesche: possiamo sentire con lo sguardo la morbidezza delle piume del mantello realizzate con la particolare tecnica della decalcomania, e gli occhi inquisitori dell’uccello ci scrutano e ci pongono domande profonde come quelle che il leone, la lupa e la lonza posero a Dante, che in preda all’incapacità di rispondere, svenne. 

Sappiamo che Max Ernst, che si identificava con l’alter-ego dell’uccello Loplop, dipinse questo capolavoro in occasione del suo matrimonio con Leonora Carrington: il dipinto è quindi una celebrazione per l’aver trovato nell’amata uno specchio e un completamento di sé stesso,  quindi un modo per amare anche il proprio essere con tutte le sue contraddizioni.

“Se Dante impara quanto la vita può ingannarci, specialmente una vita che pensiamo di conoscere, allo stesso modo questi vestiti fanno da eco a quell’inganno, ricordandoci la necessità di trovarci occasionalmente da qualche parte in cui siamo costretti a rivedere le nostre supposizioni”.

Daniel Rosebarry
Max Ernst, La vestizione della sposa, 1940

Mettersi in discussione è il primo passo per ampliare la conoscenza della propria realtà, e per Daniel Roseberry questa collezione simboleggia l’importanza di ricordare, nei momenti di assenza di ispirazione, che “nessuna ascensione al cielo è possibile senza prima un viaggio tra il fuoco e la paura che ne derivano”.

“Non c’è estasi della creazione senza la tortura del dubbio” in questo concetto alla base dell’audacia della maison Schiaparelli, trovo tutto il senso della bellezza intrinseca di ogni capo, definibile come una vera e propria opera d’arte, capace di scaturire emozioni in chi la guarda e infondere sicurezza in chi la indossa. Se la magia veicolata da Schiaparelli ci insegna qualcosa è che nel nuovo, nel diverso, nell’inaspettato il sogno si confonde con il reale lasciandoci ammaliati e coinvolti in modi che non ci aspettavamo. L’intera collezione veicola il coraggio di uscire dagli schemi e la certezza che Schiaparelli ci stupirà ancora una volta.

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