A un primo sguardo sembra un gioco. Il senso di leggerezza di quest’opera, S.T. del 2013, è dato dall’uso di una tavolozza vivace per rappresentare un soggetto non condizionato dalla realtà empirica. Ma uno sguardo più attento e paziente rivela significati più profondi. Figure femminili s’intrattengono in modo disinvolto con artefici meccanici. La fusione di forme sinuose, morbide, delicate quasi eteree, con quelle più decise, rigide taglienti, rivela un’unione più profonda tra naturalità e meccanicità. La metamorfosi è solo allusa: non ancora estrinseca nelle forme, ma percepibile idealmente. Attorno al nucleo, la superficie della tavola è percorsa da linee miste ma aperte che tracciano piani spaziali; questi continuano oltre la superficie pittorica, percorrono la cornice ma la superano, escono dal quadro fisico per avvolgere l’intera realtà ad esso esterno: queste aree sono funzionali ad accogliere quelle metamorfosi che prenderanno forma successivamente, nei pensieri più reconditi dell’osservatore.
Pietro Mancuso si dice molto legato alla geometria – “è insita in me”– che nella sua produzione trovaespressione nella fusione con le forme femminili che lo affascinano molto. Per lui infatti l’opera è pura spontaneità. Si tratta di dare forma ai pensieri che scorrono nella sua mente, lasciarli liberi di occupare la superficie necessaria alla loro evoluzione, che trova il suo apice nell’armonia profonda tra forme e colori.
La metamorfosi, nel suo continuo trapassare di forma in forma, di movenza in movenza, lascia aperte infinite possibilità di realizzazione che non necessitano però di un’identificazione. Ecco quindi svelato il mistero dei volti così spesso assenti nei soggetti: essi non necessitano di un’espressione che ne identifichi il ruolo dal momento che sono puramente il veicolo della metamorfosi continua che, pur prendendo forma nelle sue diverse fasi, non viene mai in queste ad esaurirsi. Eppure, talvolta, fa capolino un viso: spesso di profilo, come se traesse il suo primo respiro dopo essersi fatto spazio in quel groviglio di corpi stratificati, uno spazio tridimensionale che supera anche in profondità i limiti empirici della superficie pittorica.
Il fascino per la metamorfosi ha in Mancuso un’origine profonda: il tempo. “Con il tempo non ho un rapporto pacifico”, dichiara sorridendo, “sento la necessità, nel momento in cui mi presto a realizzare l’opera, di finirla al più presto”. Il trascorrere del tempo è per lui pressante; esso nel suo continuo fluire porta alla mente dell’artista nuove idee e nuovi orizzonti che necessitano di trapassare e prender forma sulla superficie pittorica o nella materia scultorea -anche se mai in modo definitivo- per poter estrinsecare la loro essenza -dapprima celata- lasciando spazio a quelli che verranno. Ecco quindi che i soggetti della produzione di Mancuso mutano con il variare dei suoi pensieri, a loro volta condizionati dall’esperienza diretta con la realtà che lo circonda.
L’interiorità dell’artista prende così forma nell’opera che invita lo spettatore ad arricchirla di significato con le proprie impressioni ed emozioni. In questo modo la produzione artistica del maestro non vuole essere mera vetrina del proprio animo, consentendo a chi la guarda di renderla anche propria espressione personale.
La forma è in Mancuso assoluta protagonista, infatti egli si esprime anche attraverso la scultura. “Nella realizzazione di una statua mi lascio guidare dalla materia prima” dice simulando con le mani l’azione del plasmare: come se la materia avesse in potenza la forma della sua massima espressione, e l’artista fosse il mediatore che la porta a realizzarsi.
Nella scultura bronzea La Centaura, la creta si presta ad assumere le forme sinuose ed eleganti del cavallo e quelle morbide ed eteree della figura femminile. Il cavallo è per Mancuso simbolo di libertà, indipendenza, forza, bellezza e nobiltà, connotati che ben si prestano anche alla descrizione della donna. La Centaura è quindi espressione della metamorfosi tra donna e animale, tra sentimento e impetuosità, tra dolcezza e violenza, è metafora di una donna forte e sicura di sé, raffigurata in un momento di passionalità dirompente.
Essa viene colta in un momento di massima tensione fisica. Mentre le zampe posteriori sostengono la creatura, quelle anteriori si librano forti e autoritarie nel vuoto; nel busto, lo sforzo fisico di questo momento, è reso dall’abilità dell’artista di ricreare la tensione addominale; infine le braccia alzate verso il cielo amplificano il senso di slancio e potenza della creatura. La metamorfosi è completata e trova la sua massima espressione in questa sintesi. Ecco una nuova donna, che con il passare del tempo è divenuta consapevole della forza della propria femminilità. Una donna che si fa espressione di indipendenza e libertà.
L’arte di Mancuso è spontaneità nel suo aspetto più puro, è armonia ed equilibrio, è la volontà di dar forma alla sua immaginazione e alle sue credenze, talvolta celate a lui stesso, ma che nella loro esternazione gli consentono di riconoscerle e di riappropriarsene. È il suo comunicare, laddove le parole non gli consentono di arrivare, perché l’essenza di un uomo rimane, anche al più abile retore, qualcosa di indescrivibile.