Come ci dovremmo muovere nel mondo: Duo di William Forsythe

Pensata per l’esecuzione da parte di una coppia di ballerini, Duo è una coreografia di danza della durata di circa 12 minuti, in cui William Forsythe indaga le logiche di armonia racchiuse nell’immaginario del pas de deux: l’ emblema del balletto classico è il canone che il coreografo pone in questione attraverso la formulazione di un’antitesi di tutti i suoi punti salienti. Questo pezzo infatti vede l’esecuzione da parte di una coppia di ballerini/e dello stesso sesso, tra i quali vi è una sostanziale assenza di un ruolo predominante, e nella quale non è previsto alcun tipo di contatto fisico.

Duo fu composto nel 1997 per il Ballet Frankfurt, la compagnia di danza di cui Forsythe fu il direttore per vent’anni, rendendola un punto di riferimento per la danza contemporanea negli anni ’90 proprio  per le sue sperimentazioni sui principi del balletto classico. Il merito di questo grande coreografo è infatti quello di aver portato un’evoluzione nella danza accademica a partire da una profondissima conoscenza e passione per questo linguaggio, arrivando a creare un nuovo repertorio di movimenti coreografici finalmente contemporaneo; questo lavoro di ricerca gli è valso il riconoscimento del Leone d’Oro alla Biennale di Danza del 2010. 

L’elemento basilare del nuovo linguaggio della danza è, secondo Forsythe, il counterpoint (traducibile letteralmente come contrappunto), ovvero una sequenza di gesti alternati che sono la traslitterazione di un dialogo tra corpi che va a descrivere e definire uno spazio-tempo. Duo prevede dunque delle variazioni rispetto all’esecuzione sincronizzata dei movimenti propria del balletto accademico: il disegno coreografico è scandito da cues, veri e propri segnali tramite cui i ballerini ritrovano la coordinazione tra le improvvisazioni reciproche. Allo stesso tempo il coreografo crea dei riferimenti per chi osserva sulla scorta dell’esperienza del balletto accademico: i ballerini eseguono dei movimenti che si possono classificare come diversi, opposti, complementari, o, spesso, speculari, e vanno a costruire per il punto di vista di chi guarda delle simmetrie compositive che sono il prodotto più evidente dell’idea coreografica.

L’attaccamento al contesto accademico è di fatto l’elemento che distingue Forsythe dalle sperimentazioni coeve del contesto francese, e si concretizza nella scelta di selezionare per la sua compagnia, la Forsythe Company (fondata nel 2004, dopo la chiusura del Ballet Frankfurt), dei ballerini professionisti, con spiccate capacità tecniche e fisiche. 

Questa coreografia oggi è un must del repertorio della danza contemporanea; nella presente analisi faccio riferimento alla sua messa in scena da parte del CNN Ballet de Lorraine nel 2014 (di cui potete avere un assaggio nel video alla fine dell’articolo) in cui emerge la volontà di porre un’attenzione particolare al corpo, in questo caso quello delle due ballerine, anche attraverso la scelta degli elementi della messa in scena:  la scenografia del balletto consiste in uno sfondo nero sul quale le figure si stagliano in modo molto chiaro, illuminate da una luce fissa che viene dall’alto, e la scelta di una semplice calzamaglia trasparente come costume di scena evidenzia il susseguirsi di tensione e rilassamento dei muscoli dei corpi e pone l’accento sulla preparazione atletica delle interpreti, con il chiaro obiettivo di ammaliare per la bellezza dei movimenti e delle forme.

Duo performata dal CCN Ballet de Lorraine nel 2014, foto di Arno Paul

Caratteristica distintiva di  Duo è che, nonostante l’assenza delle coordinate dell’immaginario classico del pas de deux, lo spettatore avverte chiaramente, sin dai primi secondi, che, seppur non fisica, è presente e dominante nella coreografia una forma di unione tra i due corpi che si muovono sul palco. Questa è costituita dall’intensità dei movimenti misurata da un breath score: un ritmo di inspirazioni ed espirazioni volutamente sonora, che regola i movimenti dei ballerini. Infatti il movimento scenico è sostenuto dall’accompagnamento musicale di Thom Willems, un sottofondo sonoro che non detta il ritmo della danza, scandito appunto dal breath score, ma ne rispetta le pause e la struttura, seguendo lo sviluppo della coreografia in modo attento: l’intensità del suono cresce di pari passo con l’avvicinamento spaziale delle ballerine, e gli accordi di pianoforte fanno da cornice ai momenti in cui le ballerine ritrovano un’unità nel movimento coreografico.

L’attenzione di Forsythe per questa partitura dei suoni prodotti dal corpo stesso dei ballerini, che costituisce la traccia effimera della danza, vuole comunicare quanto sia importante avere attenzione e sensibilità nel momento in cui si agisce in uno spazio. Questa riflessione sul movimento del singolo in uno spazio condiviso si associa alla famosissima We Shall Run di Yvonne Rainer, coreografia performata dal Judson Theater nel 1963, che voleva essere la metafora del valore dell’attenzione per il prossimo come base del sistema democratico, facendo riflettere sulla sua fragile dipendenza da una partecipazione attiva e consapevole di ognuno. 

L’elevazione dell’atto primo della vita, il respiro, a chiave di comprensione delle coordinate per il movimento nello spazio scenico, è un passaggio fondamentale nella ricerca di Forsythe, che in questo modo non si relaziona più esclusivamente all’ambiente della danza, ma pone in questione la quotidianità del vivere, riallacciandosi dunque al grande filone delle sperimentazioni degli anni ’60 di John Cage e Merce Cunningham (con la riflessione sui movimenti più semplici e automatici dei nostri corpi che compongono di fatto una coreografia del quotidiano), arrivando così ad illustrare in modo molto eloquente l’idea che lo spazio-tempo in cui viviamo sia plasmato dalle azioni che compiamo, che sono azioni culturali, memorizzate e riproposte in modo assolutamente spontaneo. 

La ricerca coreografica di Forsythe non si è limitata al mondo della danza, ma ha spaziato anche nel campo della performance e delle installazioni, sempre con l’obiettivo di indagare la relazione dell’uomo con lo spazio nei suoi movimenti più naturali ed elementari, soprattutto a partire dalla prima collaborazione con l’architetto Daniel Libeskind nel 1991. Questi ultimi trent’ anni sono stati scanditi dal successo delle sue numerosissime installazioni coreografiche, che lo hanno portato a formulare l’ambizioso progetto dei Choreographic Objects, attraverso i quali ha presentato la sua riflessione anche a un pubblico di non esperti e nel contesto dei musei d’arte; ognuna di queste meriterebbe non solo di essere citata, ma un approfondimento a sé, ad ogni modo non posso non fare riferimento a Black Flags, presentata a Dresda nel 2014, e Nowhere and Everywhere at the Same Time, esposta a Francoforte dal 2015 al 2017.

Insomma, Duo non si limita ad analizzare il movimento del pas de deux, ma lo eleva a metafora di un modo armonioso e sensibile di vivere lo spazio: con attenzione agli equilibri, alle distanze e ai segnali. Di fatto Forsythe ci vuole dire che, come il pas de deux nel balletto, questo modo di muoversi dovrebbe essere un canone, un assioma per tutti i contesti relazionali. A mio parere questo suo messaggio è oggi, a un anno dall’inizio di un periodo di restrizioni, più che mai attuale.

E così, ancora una volta, in un mondo in cui l’arte acquisisce importanza mediatica solo quando il suo prodotto materiale viene venduto a prezzi stratosferici, il lavoro di ricerca e coinvolgimento nel campo delle arti performative ci fa osservare con occhi nuovi la nostra vita, ci rende consapevoli. Per ora ci accontentiamo delle registrazioni, impazienti per la riapertura dei nostri teatri, per tornare a riflettere ammirando questo masterpiece (e molti altri).

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