370 New World è “un’opera sulla solitudine generata dalla crisi sociale ed economica che ha attraversato l’Europa negli ultimi dieci anni. L’isolamento umano è ormai parte del vivere quotidiano di molte persone”.
Con queste parole Marcantonio Lunardi sintetizza in due brevi frasi l’intero e complesso significato di 370 New World, opera di video arte che egli realizza nel 2014, ma che oggi più che mai risulta attuale, se non addirittura profetica rispetto a quanto stiamo vivendo da ormai più di un anno. Un’opera che si pone – e ci pone – in diretta connessione con la realtà, pur rielaborandola in veste digitale. La funzione di un video d’artista è infatti quella di restituire un succo concentrato della realtà, di captarne e spremerne le problematiche, le contraddizioni, e di vestirle in una forma nuova, creativa, che ci consenta così di accorgerci di quelle contraddizioni che troppo spesso passano inosservate sotto i nostri occhi distratti, di fermarci a riflettere su di esse. 370 New World ha esattamente questo obiettivo.
Realizzata nel 2014 e presentato alla nona edizione di Videoart Yearbook organizzata dal dipartimento delle Arti Visive dell’Università di Bologna, 370 New World costituisce un esempio paradigmatico della produzione di Marcantonio Lunardi, videoartista toscano riconosciuto nel panorama internazionale grazie ad un linguaggio personale ed evocativo, che ha saputo diventare una firma facilmente identificabile, capace di mostrare in modo emblematico il carattere ibridante proprio della produzione videoartistica contemporanea. Lunardi proviene dal cinema documentario (è diplomato in regia documentaristica presso la Scuola del Festival dei Popoli di Firenze) ma a partire dal 2001 intraprende il percorso nel mondo della videoarte, nel quale porta il proprio background cinematografico, proponendo un’ibridazione tra linguaggio del reale e quello video-artistico: l’attenzione al quotidiano, alla presa diretta sulla realtà caratteristica del genere documentario, così come il ricorso ad attori e ad una strumentazione propriamente cinematografica, si uniscono al linguaggio condensato, sintetico e simbolico proprio del video; di quest’ultimo, manca però l’agilità, la velocità scattante e dinamica che solitamente lo contraddistingue come mezzo di espressione artistica: Lunardi concepisce i suoi lavori come tableaux vivant, attraverso inquadrature quasi fisse e un’attenzione maniacale alla luce e ai valori plastici che ricorda quella dei quadri del Caravaggio, proponendo così un’altra forma di ibridazione: rimedia all’immobilità della pittura attraverso il medium dinamico e mobile per eccellenza. Restituisce quindi una rappresentazione del mondo dalla forte carica retorica, attraverso affreschi digitali.
Con 370 New World Lunardi conferma ed esplora ulteriormente questa scelta stilistica: procedendo per quadri emblematici, sequenze lineari che si soffermano su alcuni elementi chiave, con un’attenzione pittorica alle luci e ai dettagli, propone una lettura allegorica della crisi e del senso di solitudine che attraversa la nostra attualità. Una particolare attenzione è rivolta agli sguardi, sui quali le luci e la lente della videocamera si soffermano: sguardi persi e vuoti dei lavoratori e degli artisti, che si sono visti privare del loro lavoro e dunque della loro identità. Gli attori sono immobili, muti: ciò che si muove (sebbene quasi impercettibilmente) e comunica è solo il loro sguardo.
Il loro smarrimento e la loro solitudine, imposti da una circostanza esterna, vengono riflessi, tanto simbolicamente quanto concretamente, dal vuoto in cui sono immersi i luoghi della cultura: cinema, teatri, biblioteche, luoghi di relazione sociale, di comunità, oggi drammaticamente chiusi ma che ormai da tempo stanno attraversando un progressivo fenomeno di abbandono. 370 New world non è infatti occasione per riflettere solo sulla più stringente situazione in tempo di pandemia, ma anche per estendere lo sguardo ad una condizione che non riguarda unicamente l’ultimo anno, punta dell’iceberg di una crisi culturale e sociale che attraversa il nostro paese da ben più tempo. Il video sembra chiedere: “Si può fare a meno della cultura?” Il senso di vuoto che i quadri di Lunardi dipingono è di per sé una silenziosa ma eloquente risposta.
Infine, un’ulteriore tipo di solitudine che l’opera affronta è quella generata dalla sostituzione dei nuovi mezzi di comunicazione ai rapporti umani: schermi che assorbono la nostra percezione, provocano uno scollamento emotivo rispetto alla quotidianità, ci assolvono dai problemi concreti del vivere e del convivere. Lunardi entra con il suo occhio digitale nell’intimità domestica delle famiglie italiane, mostrando come essa sia stata pervasa dagli schermi luminosi di televisori, computer, tablet, smartphone: non cerchiamo più la relazione con chi ci sta accanto, attorno alla stessa tavola, ma con una superficie virtuale, che altro non è che la proiezione delle nostre idealizzazioni. Non cerchiamo più l’altro, ma restiamo isolati in noi stessi, in una dimensione altra. E questo porta, paradossalmente, proprio ad una perdita identitaria. La luce degli schermi diventa così da un lato funzionale alla ricerca formale su valori plastici e luministici, sostituendosi al fascio di luce caravaggesca; dall’altro, simbolo dell’alienazione e solitudine dell’individuo nella società occidentale, dell’egotismo e narcisismo che impediscono ogni forma di comunicazione genuina, di scambio autentico e di empatia verso l’altro da sé.
Se oggi il distanziamento sociale non è un’opzione e la relazione tramite schermo è diventata una necessità, questa condizione imposta, così come la visione di questo video, deve servire come stimolo per una ridefinizione dei rapporti umani, non appena la scelta sulle modalità con cui instaurarli e mantenerli tornerà nelle nostre mani. Ecco che infatti il video termina con un’azione utopica, la semina di un piazzale asfaltato, anch’essa allegorica e simbolica: un invito a tornare ad un’ecologia dei rapporti, alla loro concretezza, ad una scelta etica che vada in direzione opposta rispetto alla decadenza industriale, economica e sociale dell’Occidente. Un suggerimento a rallentare, ad indugiare sugli sguardi di chi ci circonda, proprio come la videocamera di Lunardi sa fare.