La bellezza di viaggiare in una città, un paese o un continente differente dal proprio consiste, in buona parte, nell’osservare come le diverse popolazioni abbiano interpretato nei secoli il mondo che ci circonda.
Forse, proprio in quest’ottica sono state create le ultime quattro sale del Museo della Natura e dell’Uomo, inaugurato a Padova a giugno di quest’anno; esso è il risultato della fusione di varie collezioni afferenti diversi ambiti di ricerca (mineralogico, geologico e paleontologico, zoologico e antropologico) ed accompagna i visitatori attraverso i secoli e le tracce minerali, animali ed umane a noi pervenute, esponendo più di 200 mila reperti. Questo viaggio si conclude proprio al secondo piano, in quattro sale collegate da un percorso ad anello che presentano altrettante collezioni etnografiche risalenti al XIX e XX secolo. I reperti esposti in questi spazi, distinti a livello cromatico, provengono da luoghi molto lontani tra loro geograficamente: partendo dal paglierino Giappone si passa al turchese dell’Oceania, al color sabbia che caratterizza l’Africa ed infine al blu fiordaliso dell’Asia. Un visitatore disattento potrebbe passeggiare tra le sale, osservare gli oggetti estremamente differenti tra loro in stile, manifattura e materiale, terminare il percorso e domandarsi: “Bello, ma… Perché mostrare tutto ciò?”
Perché questo percorso circolare è la prova che, sebbene tutte le culture presenti nel mondo o esistite nel passato siano diverse dalle altre, esse possiedono elementi che le accomunano: ogni popolazione, pur non avendo contatti con le altre, si è confrontata con gli stessi problemi, posta le medesime domande, coltivato simili passioni.
Percorrendo i corridoi di queste sale, ogni visitatore può ad esempio osservare come la necessità di cacciare, difendersi o combattere abbia condotto alla creazione di armi molto diverse tra loro, a seconda dei differenti scopi, ambienti e materiali disponibili.
Alle lance e ai naginata, ovvero armi ad asta giapponesi con lame ricurve, si oppongono nettamente le mazze da combattimento e chiodate, i boomerang e i propulsori, ovvero strumentazioni utilizzate come prolungamento del braccio per lanci più lunghi e rapidi, provenienti dal Queensland settentrionale; la fattura delle frecce e sciabole etiopi si può invece confrontare con quella delle spade parang, dei coltelli barong e dei pugnali keris del sud est asiatico.
In questa esposizione si può anche riconoscere come differenti abitudini alimentari abbiano determinato la produzione di variati utensili per cucinare, consumare e conservare gli alimenti: se da un lato è possibile osservare nel dettaglio i pregiati servizi da pasto giapponesi, di legno laccato rosso acceso, dall’altro colpisce la semplicità del piatto circolare incavato in un solo pezzo di legno proveniente dalla Polinesia, usato per la preparazione della kawa (bevanda leggermente inebriante consumata in occasioni cerimoniali), o il cestino di foglia di palma, cucita con rattan, usato lungo la Costa Casuarina per contenere il sago, amido alimentare estratto da diverse specie di palma. I due contenitori per vivande somali colpiscono per le loro geometrie intricate, mentre le teiere e i contenitori in porcellana provenienti dalla Cina lasciano stupiti i visitatori per la loro elaborata maestria.
Infine, l’interpretazione del mondo e l’ipotesi di chi lo abbia creato ha dato vita a rituali, oggetti cerimoniali e simboli di culto completamente eterogenei ma allo stesso modo affascinanti. Ecco ad esempio piccoli altari lignei domestici giapponesi, chiamati Ihai, su cui veniva inciso il nome buddista dei parenti venuti a mancare per custodirne, all’interno delle case, lo spirito; oppure le statuette votive tibetane e nepalesi, rappresentanti varie figure: il Buddha (16 e 17), il maestro tibetano Tsongkhapa (15), Samvara e la sua Sakti (18), Shiva, Parvati e Ganesha. Sono presenti anche alcuni amuleti somali in metallo, pietre, zanne ed artigli, o le sculture in legno traforato poste in zone sacre, in cui le popolazioni della Melanesia orientale svolgevano le cerimonie malanggan: esse non erano semplici rituali funerari, bensì culti complessi che necessitavano di mesi di preparazione e che erano scanditi da diversi momenti devozionali.
Questi sono solamente alcuni dei legami tra le diverse civiltà del mondo che i visitatori possono identificare esplorando le sale del museo in corso Garibaldi a Padova; l’invito a visitarle è dunque rivolto a chiunque desideri intraprendere un viaggio immaginario tra i diversi continenti. D’altronde, comprendere davvero una cultura differente dalla propria consiste, forse, nell’apprezzarne le unicità e riconoscerne le analogie.