L’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro.
Così afferma, all’interno del proprio saggio di estetica Punto, linea, superficie del 1926, il noto artista Wassily Kandinsky; troppo noto affinché si possa anche solo ipotizzare di proporre un originale punto di vista sulla sua figura. Partendo però da queste parole è possibile ragionare su quale fu il futuro dell’arte nei decenni successivi e quanto l’artista russo ne influenzò l’evoluzione.
Esattamente con questo intento nasce la mostra allestita presso le sale espositive del Centro Culturale Candiani di Mestre, intitolata Kandinsky e le avanguardie. Punto, linea e superficie e visitabile fino al 10 aprile 2023.
L’esposizione parte proprio da alcune opere di un Kandinsky maturo, successive di una decina d’anni alla fondazione del gruppo espressionista Der Blaue Reiter, Il cavaliere azzurro (Monaco di Baviera, 1911), in cui si annoverano artisti quali Paul Klee e Franz Marc, e successive al suo periodo trascorso in Russia allo scoppio della prima guerra mondiale.
Sei delle sette opere di Kandinsky presenti alla mostra sono datate 1922, anno in cui il pittore, tornato in Germania, iniziò ad insegnare al Bauhaus di Weimar ed in cui la sua arte raggiunse l’apice dell’astrattismo; le opere riflettono infatti chiaramente le teorie espresse dall’artista sulla libertà evocativa del colore e sulle forme geometriche che trascendono la realtà dell’esperienza sensibile (Lo spirituale dell’arte 1912 e Punto, linea, superficie 1926).
Queste sei rappresentazioni sono parte di un portfolio intitolato Kleine Welten, Piccoli mondi, costituito da un totale di 12 grafiche a colori e in bianco e nero, create attingendo da tre differenti tecniche: litografia, xilografia e incisione a puntasecca. In esso, lo spettatore può osservare la raffigurazione di un piccolo cosmo di mondi, ognuno diverso dall’altro. Che si tratti di semplice fantasia? Il pubblico più attento potrebbe però notare che, nonostante l’estremo livello di astrazione, sia possibile talvolta riconoscere alcune strutture architettoniche tipiche del mondo urbano.
Solo collegandosi alla biografia dell’artista si può intendere il motivo di queste rappresentazioni: nel 1918 erano infatti stati approvati in Russia dei nuovi progetti urbanistici, volti alla riqualificazione di Mosca come “città del futuro”. Sarebbero state così progettate delle piccole città-satelliti intorno a Mosca, in grado di alleggerire il sovrappopolamento ed il traffico congestionato della capitale; Kleine Welten è quindi l’esito di un processo di astrazione ed interiorizzazione da parte dell’artista di alcuni fatti storici e sociali a lui contemporanei.
La prima parte della mostra presenta inoltre alcune opere di un altro artista, la cui biografia ed evoluzione fu estremamente legata a Kandinsky: Paul Klee.
Pittore svizzero contemporaneo a Kandinsky, fondò con lui nel 1924 Die blaue Vier, I quattro azzurri, un gruppo di artisti che presentò numerose mostre soprattutto in America, e portò avanti la visione del gruppo Der blaue Reiter, di cui aveva fatto precedentemente parte.
Esposte alla mostra si possono osservare diverse opere che, anche ad uno spettatore inesperto, permettono di cogliere l’influenza che i due artisti ebbero reciprocamente. Ne è un esempio l’opera che segue:
Ben 14 figure geometriche, delineate da un’unica traccia di china, spiccano sulla carta. Il punto di partenza di ogni tratto corrisponde al punto di fine della figura, creando così un movimento circolare infinito, ripetitivo. Lo stesso concetto di linea, per Kandinsky, corrisponde “alla traccia del punto in movimento, [al] salto dallo statico al dinamico” (Punto, linea, superficie, 1926), alla spinta di forze esterne; inoltre, le linee spezzate sono per lui scontro di forze, simbolo di dinamismo e tensione.
Ripetizione infinita, dinamicità e tensione. A questo punto, ricordando il legame profondo che in Kandinsky unisce musica e pittura, può apparire chiaro allo spettatore il titolo di quest’opera: Alarm, Allarme. Il suono acuto, iterativo e fonte di tensioni trova qui espressione grafica.
Sulle tracce di Klee e Kandinsky, nel corso degli anni ’20 nacquero, come esplicato all’interno della locandina della mostra, “le sperimentazioni del Surrealismo di Joan Mirò, Antoni Tàpies, Yves Tanguy, le analogie cosmiche di Enrico Prampolini e le forme musicali di Luigi Veronesi”.
L’opera di Yves Tanguy, Costruire e distruggere (1940) costituisce un perfetto esempio di surrealismo, che di primo acchito può sembrare molto distante dall’arte dei due precedenti artisti.
Gli oggetti e le masse amorfe, inserite in un ambiente non identificabile ed apparentemente liquefatto, la mancanza di elementi chiaramente riconducibili alla realtà senza indicazioni da parte dell’autore: tutto ciò ricorda fortemente il processo di astrazione della realtà ed immissione nell’opera della soggettività ed emotività dell’artista presente nelle opere di Kandinsky e Klee, anche se qui gli elementi possiedono una propria tridimensionalità e posizione nello spazio.
Anche Analogie cosmiche (1931) di Prampolini mostra una silhouette femminile astratta, appena riconoscibile, in cui il pittore italiano riesce però a sublimare l’essenza più profonda del soggetto, inserito in un cosmo colorato e misterioso. I colori e le forme geometriche rimangono centrali, proprio come in Kandinsky, e non rimandano direttamente ad una traccia di realtà.
La successiva fase della mostra esplora l’astrazione nel secondo dopoguerra, presentando opere di noti autori quali Ben Nicholson, Giuseppe Santomaso, Mario Deluigi ed Emilio Vedova.
Qui i diversi artisti prendono strade molto diverse, ed interpretano l’astrattismo a proprio modo. Da un lato, Santomaso; con l’opera che rimanda alla sua quotidianità legata al mare Muro e alghe, l’artista rende evidente, come esplica la sinossi dell’opera, “la sua ricerca pittorica […] tra astrazione e figurazione, oscillando tra questi due estremi senza mai concedersi completamente a nessuno dei due”.
Al vertice opposto Mario Deluigi, che utilizzando la tecnica mista pionieristica del grattage compie uno studio sui segni e sull’equilibrio che il loro infittirsi o distanziarsi può generare, abbandonando però qualsiasi legame con il significante realistico che può aver ispirato l’opera.
La mostra si conclude con una selezione di opere scultoree che vergono al minimalismo, in cui Mirko Basaldella, Eduardo Chillida, Luciano Minguzzi e Bruno de Toffoli testimoniano la “persistenza del dialogo tra astrazione e biomorfismo verso gli anni Cinquanta”, come afferma la locandina. Un’astrazione radicale, ai suoi massimi termini, è rappresentata infine da un paio di opere degli anni ‘70 di Richard Nonas e Julia Mangold.
Di cosa si tratta?
Invito tutti i lettori a scoprirlo da sé, visitando la mostra. Posso solo concludere scrivendo di essere d’accordo con l’affermazione di Kandinsky, autore che senza dubbio ha condizionato l’arte a lui successiva:
L’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro.