E per un istante ritorna la voglia di vivere a un’altra velocità
Franco Battiato, I treni per Tozeur, 1985
Al terzo piano del Museo Fondazione Querini Stampalia, in campo Santa Maria Formosa a Venezia, è stata inaugurata “Venezia Panoramica: la scoperta dell’orizzonte infinito”.
Curata da Pascaline Vatin e Giandomenico Romanelli, la mostra si compone di immagini della città lagunare dal 1400 ad oggi mettendo in luce come il variare della sua rappresentazione nei secoli sia andato di pari passo con l’evolversi delle conoscenze nel campo prospettico ed ottico e con gli sviluppi della tecnica della stampa.
Quelle proposte in mostra non sono né mappe della città né le vedute in “stile Canaletto” a cui istintivamente tutti associamo l’immagine di Venezia nella storia dell’arte, ma qualcosa di questi elementi si ritrova in molte delle opere (come la toponomastica, le forzature prospettiche o gli accostamenti architettonici fantasiosi), così che nella nostra mente nel corso della visita affiorano delle similitudini con qualcosa che non ci è nuovo: lo abbiamo già visto in una delle Vedute alla National Gallery di Londra? In un film? Nel tragitto per raggiungere la Querini? Lo abbiamo visto veramente?
Il grandioso Panorama di Venezia di Giovanni Biasin, dipinto nel 1887 e qui esposto per la prima volta dopo il restauro, è il pezzo principe dell’esposizione: all’enorme dipinto su carta (22 metri) è dedicata un’intera sala “immersiva” nella quale si ha l’impressione di stare su una barca al centro del bacino di San Marco, circondati dalle attività quotidiane della città ottocentesca, con pescatori, pittori di paesaggio, venditori di frutta e rematori in un’atmosfera placida che appare surreale se paragonato al continuo viavai di taxi, vaporetti e imbarcazioni che solitamente caratterizza il Canal Grande e la laguna.
Forse solo chi ha vissuto in città in questo ultimo anno potrà dire di aver fatto esperienza di qualcosa di simile, ma come cantava Battiato in La Stagione dell’Amore:
“gli orizzonti perduti non si scordano mai”.
Sulle pareti color verde laguna delle quattro sale espositive si delinea quindi non solo un panorama della città e dei suoi sviluppi, ma anche dei modi in cui essa è stata percepita e immaginata nel tempo. Questa mostra ci invita a guardare, a immergerci nelle immagini alla ricerca dei posti che conosciamo per constatare come essi siano cambiati nei secoli, ad osservare i dettagli e a cercare di identificare le decine di chiese della città – e corrispondenti campi – di cui abbiamo sentito i nomi nell’aria mentre ciondolavamo per le calli: nel Cinquecento in Giudecca sbuca il Redentore, poco dopo sorgerà anche la chiesa di San Giorgio (spesso rappresentata “storta” per mostrar la facciata palladiana), poi alla fine del Seicento fa capolino la Salute, mentre San Gregorio si fa piccino…
Personalmente, ho sentito questa mostra soprattutto come un invito a rallentare, a cambiare ritmo e prospettiva uscendo dai sentieri tipicamente turistici così spesso battuti nelle frenetiche “gite a Venezia”, per prendere veramente coscienza della forma unica di questa città, crearne una propriamente nostra, e, magari, innamorarcene: quale miglior modo per celebrarne i 1600 anni?
Visitabile dal martedì alla domenica fino al 12 settembre 2021.