Nella storia dell’arte sono poche le coppie di artisti che, oltre a condividere comuni progetti di vita, hanno dato avvio ad un fruttuoso sodalizio creativo; gli esempi sono vari, quali Stieglitz-O’Keeffe, Abramovich-Ulay o Rivera-Kahlo, ma due compagni su tutti hanno posto al centro della propria relazione i progetti artistici concepiti e realizzati congiuntamente: Christo e Jeanne-Claude. Nati lo stesso giorno nello stesso anno, il 13 giugno 1935, sono forse tra i massimi esponenti della Land Art, tendenza formatasi nella seconda metà del Novecento in accordo ad un contesto artistico rivoluzionario in termini di forme e di concetto: prescindendo dalla chiusura dello spazio museale, le opere del duo interagiscono direttamente con il paesaggio, sia antropico che naturale, utilizzando monumentali teli per “impacchettare” vaste porzioni di territorio e generare in tal modo stupore negli occhi dell’osservatore.
Riprendendo l’atteggiamento misterico che si può ritrovare in opere quali L’enigma di Isidore Ducasse di Man Ray, o Pianoforte con feltro di Beuys, Christo e Jeanne-Claude celano allo sguardo un oggetto noto, di norma osservato superficialmente, al fine di restituirne l’essenza con maggiore forza: il vuoto lasciato da un luogo o un monumento la cui natura viene considerata potenzialmente eterna e immutabile, ha un effetto destabilizzante per la razionalità del pubblico, sopraffatta dal turbamento emotivo. Lo spettatore, privato della vista di un “oggetto” con cui sussiste un legame intimo e pregno di ricordi personali, diviene partecipe di una riflessione collettiva sull’elemento temporale, sovente travolto da una cadenza ripetitiva e quotidiana che ha il demerito di anestetizzare la bellezza circostante.
L’empaquetage divenne cifra stilistica dei coniugi Christo e Jeanne-Claude, la cui arte fu spettacolarizzata a livello globale, diffusa primariamente dall’azione pubblicitaria dei mass media; tuttavia, oltre l’indubbia originalità delle immense installazioni, è forse il loro “dietro le quinte” a costituire un unicuum nell’intera storia dell’arte: l’allestimento dei monumentali teli non è un processo circoscritto unicamente agli artisti o a una cerchia ristretta di collaboratori, ma al contrario assume una connotazione collettiva, coinvolgendo una nutrita schiera di “addetti ai lavori”, dalle mansioni diverse ma uniti da una comune passione verso le opere dei Maestri.
Inoltre, l’opportunità di partecipare in prima persona alla concretizzazione del progetto diviene un’esperienza formativa sotto il profilo personale, inducendo al superamento dei limiti fisici e mentali dell’individuo; non per niente, in molti ritengono che il contatto con gli artisti e l’immersione entro il loro programma lavorativo siano stati essenziali per intraprendere un mutamento nella propria quotidianità, paragonabile in alcuni casi ad un tangibile “cambio di vita”:
“l’incontro con Christo e Jeanne-Claude mi ha cambiato la vita. Con loro ebbi la possibilità di mettermi alla prova e capire che cosa avrei fatto da grande”
John Kaldor, ricordando la propria partecipazione a Wrapped Coast (1969)
“Che cosa ho imparato da Christo e Jeanne-Claude? A essere me stesso. Con tutti. […]. Bando all’arroganza o al presunto senso di superiorità. Ci si rimbocca le maniche e si lavora alla pari”
Tim O’Connor, tuttofare in Surronded Islands (1980-83)
“Christo e Jeanne-Claude sono stati i primi a credere in me e a darmi il genere di fiducia di cui avevo bisogno. Loro sono così. Danno alle persone l’opportunità di agire, sanno esattamente in quale campo un individuo è in grado di dare il meglio di sé”
Laure Polet, la cui azione di imbonimento dell’opinione pubblica parigina fu fondamentale per la realizzazione di The Pont Neuf Wrapped (1975-1985)
Le citazioni riportate rendono lampante l’impatto delle opere della coppia in quanti hanno preso parte al loro allestimento. Ma qual è il motivo alla base di una tale influenza? La risposta va ricercata proprio nelle peculiarità caratteriali dei due artisti: figure carismatiche e determinate, essi non si sono mai persi d’animo nell’affrontare i costanti ostacoli frapposti tra l’ideazione e la concretizzazione delle loro immense installazioni.
Prescindendo dal problema economico (i costi di realizzazione degli impacchettamenti sono sì esosi, ma interamente autofinanziati dagli artisti mediante la vendita dei propri disegni e progetti), sono soprattutto i fattori burocratici ad aver causato costanti interruzioni negli allestimenti, protraendone la genesi per anni, talvolta decenni: dai proprietari terrieri e famiglie le cui terre erano lambite dall’occupazione temporanea delle installazioni del duo, fino a figure politiche di primo piano (The Pont Neuf Wrapped fu realizzato solo grazie al beneplacito dei leader politici Chirac e Mitterrand, dopo dieci anni), in molti ritennero inizialmente inutili e aberranti i tessuti che celavano alla vista paesaggi noti, salvo poi ricredersi constatato l’incredibile ritorno economico e d’immagine derivante da questo atipico procedimento estetico. Ma oltre ai procedimenti amministrativi macchinosi, anche i supposti problemi ambientali prolungarono i tempi realizzativi: sottoposti alle pressioni di quanti ritenevano impattanti i teli sul territorio, e dunque fonte di possibile danno ecosistemico, a partire da Surronded Island gli artisti si videro costretti ad effettuare numerose perizie tese a dimostrare l’influsso nullo delle proprie opere sull’ambiente circostante, avvalendosi della consulenza di esperti quali oceanografi o geologi e giungendo a risultati talora sorprendenti (ad esempio, l’ipotesi che il polipropilene rosa utilizzato per la realizzazione della sopracitata Surronded Islands potesse danneggiare l’ambiente dei lamantini non solo si rivelò infondata, ma sorprendentemente si scoprì un incremento nell’attività sessuale di questi mammiferi).
Appare quantomeno inusuale la caparbietà dimostrata da Christo e Jeanne-Claude: di fronte all’immane dilatazione dei tempi causata dal diniego di figure presidenziali, dagli esosi costi economici e dall’incerto impatto ambientale, in molti avrebbero rinunciato sul nascere ai propri progetti; eppure, dimostrando una tenacia non comune, il duo artistico ha realizzato opere il cui ricordo è globalmente indelebile, dimostrando l’infondatezza artistica del concetto di “impossibile”.
Ed è esattamente tale modus cogitandi ad aver lasciato un segno indelebile nella vita di chi ha partecipato alle installazioni ambientali: come sottolinea Jerome Szeemann, figlio del celebre curatore Harald Szeemann, “Con Christo e Jeanne-Claude la parola ‘impossibile’ non esiste. Per ogni problema c’è una soluzione. E quando lavori con loro ti ritrovi a pensare esattamente allo stesso modo”. Così, ad essere eternato nella memoria non è unicamente il catalogo delle opere degli artisti, ma il loro stesso modo di “fare arte”: superando il rapporto asettico titolare-dipendente e prendendo parte in prima persona alle installazioni, la coppia ha creato con gli addetti ai lavori un legame paragonabile a quello che intercorre tra i membri di una stessa famiglia; e in modo analogo ad un giovane figlio influenzato dalla personalità di un padre saggio, i componenti del team-famiglia di Christo e Jeanne-Claude hanno plasmato la propria vita quotidiana in accordo all’esempio di atteggiamento stacanovista degli artisti, perpetuandone l’eredità.
L’elemento trasformativo dell’arte di Christo e Jeanne Claude non si limita dunque unicamente agli oggetti, ma la sua influenza si estende anche alla personalità di quanti vi hanno preso parte, rivelandone i punti di forza e i tratti salienti, elidendo i limiti autoimposti e dimostrando come l’impossibile sia unicamente un ostacolo creato dalla mente umana. Viene spontaneo chiedersi se sarà possibile ottenere un effetto analogo anche nell’imminente impacchettamento dell’Arco di Trionfo parigino, un progetto a lungo sognato dalla coppia ma mai realizzato: sebbene non sia dato sapere se la presenza spirituale degli artisti possa compensarne l’assenza fisica, forse, chissà, tra alcuni anni i nuovi membri della “famiglia Christo” vedranno la propria quotidianità mutata proprio in relazione all’eredità dei Maestri, il cui esempio vivrà sempre in coloro che ne hanno accompagnato silenziosamente l’arte.