«Non basta mettere una figura di scorcio» Pasolini e Mantegna

CELLA DI SEGREGAZIONE –  Interno. Notte.
Scena tratta dal film Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini, 1962

Nella cella non c’è niente. Un solo lucernario, in alto, da cui entra la luce della luna. Non c’è niente. Il pavimento, il soffitto, le pareti alte. E un letto di cemento con in mezzo un buco. Ettore è legato al letto. Mezzo nudo, come si trovava in infermeria, quando ha incominciato ad urlare. E’ come un piccolo crocifisso, con le braccia tese, coi polsi legati: legati anche i piedi, e una cinghia gli stringe anche il petto. Ettore continua a urlare: dicendo parole incomprensibili, agitandosi come un pazzo, divincolandosi disperatamente. 

È così che nel film Mamma Roma Pier Paolo Pasolini descrive la morte di Ettore un ragazzo che, nella Roma degli anni Sessanta, vive alla giornata grazie a piccole illiceità. Non serviranno a salvarlo le amorose premure della madre. La redenzione tanto sperata da Mamma Roma rimarrà irrealizzata.

L’uso di un lessico di matrice cattolica fissa indiscutibilmente un legame che Pasolini vuole far emergere: Ettore è «un piccolo crocefisso», un giovane Cristo di borgata. Il forte richiamo non passerà inosservato sin dalla prima presentazione del film in occasione del Festival Internazionale del Cinema di Venezia del 1962. 

I più audaci critici cinematografici non ebbero esito alcuno nel pronunciare la fatidica constatazione: 

Pasolini ha citato il Cristo morto di Andrea Mantegna!

Mai accuse più gravi furono rivolte al regista che in diverse occasioni negò un simile richiamo iconografico. Esasperato, arriverà a chiedere sostegno a un suo vecchio professore universitario:

Ah, Longhi, intervenga lei, spieghi lei, come non basta mettere una figura di scorcio e guardarla con le piante dei piedi in primo piano per parlare di influenza mantegnesca! Ma non hanno occhi questi critici?

Che Pasolini fosse un grande estimatore della storia dell’arte non è qualcosa di oscuro e non si fa certo fatica notarlo grazie ai numerosi rimandi artistici di cui i suoi film sono costellati. Meno conosciuto è come il giovane Pasolini si avvicinò allo studio dell’arte.

Tra il 1939 e il 1941 una piccola aula in via Zamboni 33 a Bologna è occupata dalle lezioni di storia dell’arte del professore Roberto Longhi. Pasolini, insieme a un gruppo gremito di giovani universitari, è sempre in aula pronto per l’ennesima «folgorazione figurativa». 

Nonostante i trascorsi con il Maestro non fossero stati particolarmente favorevoli, Pasolini vi rimarrà sempre legato, se non in alcuni casi quasi ossessionato. Non dovrebbe pertanto sorprendere che il film Mamma Roma sia stato dedicato proprio «all’istrionico» Longhi. 

Ettore non sarebbe dunque figlio dello scorcio mantegnesco, quanto più di altri due artisti che Pasolini ama immensamente:

Non vedono che il bianco e nero così essenziale e fortemente chiaroscurato, nella cella grigia dove Ettore (canottiera bianca e faccia scura) è disteso sul letto di contenzione, richiama pittori vissuti e operanti molti decenni prima del Mantegna? O che se mai, si potrebbe parlare di un’assurda e squisita mistione di Masaccio e Caravaggio?

Non si può venir meno alle parole del regista. «L’assurda e squisita mistione» masaccio-caravaggesca, infatti, è una presenza costante nelle ambientazioni pasoliniane. Ma proprio in ragione di queste sue attente riflessioni sulla storia dell’arte italiana, risulta difficile comprendere un discredito tanto feroce verso il Mantegna.

Forse la risposta è tutta racchiusa nell’estrema ammirazione che Pasolini prova per Longhi. Lo storico dell’arte, infatti, non sempre ha dedicato giudizi positivi al pittore veneto raccontandolo come un «desperados» allievo dello Squarcione che invano tentò di donare vita e movimento a personaggi intrappolati nella «fiaba dei corpi di marmo». 

Indipendentemente dal riconoscimento da parte del regista, è inevitabile ritrovare nella scena del film un’atmosfera che molto si avvicina alla contenuta e drammatica Morte del Cristo del Mantegna.

Si è già accennato alla sceneggiatura ricca di allusioni cristiane. Non meno interessante è il parallelismo possibile tra l’uso del famoso scorcio mantegnesco, che invita lo spettatore a poggiarsi sul freddo capezzale del Cristo, e la realizzazione della ripresa cinematografica sull’esile e stanco corpo di Ettore.

Dal primo piano del volto spento del ragazzo parte una fluida carrellata che pian piano, allontanandosi, ne mostra l’esanime corpo. Il movimento di macchina si ferma esattamente all’altezza dei piedi di Ettore per poi lasciare il tempo di percepire l’asettico spazio che lo circonda.L’uso di un particolare dispositivo visivo, lo scorcio in pittura e il dolly nel cinema, mostra una stessa cura nel narrare la morte attraverso l’arte.   


È inevitabile, in ultimo, riconoscere il fil rouge semantico che lega le due narrazioni.

Ludovico Mantegna, figlio del pittore, riporta che tra gli averi del padre vi è presente un “Cristo di scurto”. Lo stesso che pare esser stato appeso sopra il catafalco del grande pittore alla sopraggiunta morte. Ad oggi si tende a considerare questo quadro come l’iconico Compianto di Brera nonostante siano probabilmente esistite diverse copie dello stesso soggetto.

Andrea Mantegna, primo pittore di corte pagato con uno stipendio regolare, era solito vendere le sue opere, se non lavorare unicamente per commissioni.Le strane dinamiche che lo porteranno a realizzare e non separarsi mai dalla tela del Cristo morto di Milano sono tuttora oscure. 

Di profondo impatto emotivo è la lettura che vedrebbe nella tavola del Cristo morto la rievocazione dolorosa della prematura perdita dei figli Federico e Gerolamo. Se fosse questa la vera natura dell’opera, come avrebbe mai potuto separarsene? 

La poetessa Antonella Anedda, davanti alla piccola tavola milanese, si abbandona a una struggente e intima ekphrasis:

Questo non è solo un Cristo morto ma il ritratto della nostra vertigine davanti a ogni morte, la sua veduta aerea. L’occhio percorre un paese deserto.

In questa medesima narrazione della morte, Mantegna e Pasolini coincidono, poiché, probabilmente, non può essere altrimenti. La perdita di un figlio non può che essere fredda, vuota e silenziosa, priva di qualsivoglia speranza di resurrezione.  

Anche se Pasolini non vuole citare Mantegna, ad esser messo in scena è lo stesso identico dolore, proviamo a cambiare qualche parola e…

PIETRA DELL’UNZIONE – Interno. 
Andrea Mantegna, Cristo morto, 1483 circa, Tempera su tela, 68 x81 cm. Milano, Pinacoteca di Brera

Nella stanza non c’è niente. Un solo vasetto per gli unguenti profumati è posto di fianco al capezzale. Non c’è niente. Il pavimento, una parete e l’entrata buia di una stanza. E un letto di pietra su cui granitico si staglia un sudario. Gesù è steso sul letto. Mezzo nudo, come si trovava sulla croce, quando è terminato il supplizio.

Un solo elemento differisce.

Mantegna ci mostra un compianto.
Pasolini lascia morire Ettore da solo.

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