Le onde arrivano in serie di sette. La settima onda è grossa abbastanza da riuscire a portarci
Henri Charrière, Papillon
fuori vincendo la forza delle altre.
Così parla Papillon, pseudonimo di Henri Charrière, venticinquenne francese imprigionato e condannato ai lavori forzati a causa di un omicidio che non ha mai commesso e che racconta la sua storia in un romanzo autobiografico da cui, nei primi anni ’70, verrà trattato un film.
La settima onda, quindi, rappresenta la sorpresa, la ribellione, ma anche la spensieratezza e l’incognito. Può essere quella che permette la fuga, e quindi la libertà, o può essere quella che ti trascina di nuovo a terra mandando in fumo qualsiasi piano, è quel tentativo in grado, potenzialmente, di sconvolgere tutto.
E proprio da questo concetto ha origine il progetto situato alla Guizza, quartiere residenziale periferico di Padova, che, in uno dei tanti palazzi anonimi degli anni ’70, ospita un luogo interessante da scoprire. Settima Onda, infatti, è il nome scelto per quello che non è un semplice appartamento, ma un luogo di sperimentazione creativa, di socialità, di interazione e di convivialità. Infatti, oltre che essere vissuto quotidianamente dalla proprietaria, museologa e curatrice d’arte, l’appartamento viene aperto al pubblico nelle più svariate occasioni, per rassegne stampa, presentazioni, talks di vario tipo e per ammirare le numerose opere d’arte site specific realizzate da diversi artisti.
Potremmo dire, infatti, di trovarci davanti ad un’idea molto contemporanea di casa museo, non intesa nel senso di una musealizzazione che cristallizza nel tempo una collezione o un luogo dove ha abitato qualcuno nel passato, ma ad un luogo vissuto quotidianamente, dove l’arte diventa perfettamente integrata nella routine quotidiana, e dove il confine tra arte e architettura è inesistente. Non si potrebbe immaginare questo appartamento senza il pavimento realizzato dallo scultore Pino Castagna, così come cercare di decontestualizzare quest’ultimo in un altro luogo farebbe perdere all’opera/installazione/elemento architettonico tutta la forza e il senso comunicativo che ha ora.
Le opere non sono quindi elementi aggiunti che vanno a completare o a decorare un’architettura compiuta, ma integrano in maniera complementare la composizione dello spazio. Aurora nel tempo, installazione in plexiglass di Francesco Candeloro, infatti, trova la sua collocazione nello spazio tra le aperture della sala da pranzo, creando un diretto dialogo con esse e direttamente con l’esterno; al contempo, però, produce anche mutevoli effetti di luce sulle pareti della stanza, attirando l’attenzione di chi vi si trova. Così facendo, tutti gli elementi presenti sono uniti in un unico flusso dove anche l’appartamento vive e interagisce con i suoi ospiti, e dove ogni cosa partecipa alla creazione di un unica opera irripetibile.
Sono infatti proprio il coinvolgimento e la socialità a dare la possibilità all’arte di espandersi sempre di più, di mutare secondo ciò che avviene in un ambiente di vita, e non di contemplazione, e di aggiungere sempre qualcosa di nuovo ad eventi e riunioni. L’arte diventa un gesto quotidiano, l’architettura un fatto d’arte e la vita una performance in continua evoluzione, i cui personaggi agiscono assieme allo spazio sempre in un continuo scambio dei ruoli. Il dinamismo dell’Onda fluo di Valerio Bevilacqua si legge grazie e in contrapposizione alla staticità dell’assetto spaziale dell’ambiente, e la composizione dell’ambiente permette al neon Lite Plot di Arthur Duff di venire scoperto ed indagato dall’ospite/visitatore.
Questo appartamento elimina quindi i confini tra i ruoli che ci sono in un’esposizione tradizionale, sfrutta la settima onda per svincolarsi dai canoni tradizionali affidandosi a opere pensate ad hoc per creare uno spazio dove ognuno possa vivere l’arte e dove non ci sia più quella sorta di timore reverenziale nei confronti di qualcosa che ci sembra assolutamente lontano e staccato dal quotidiano.