È possibile immaginare l’invisibile?
Probabilmente dipende da che tipo di invisibile si cerca di visualizzare. Generalmente si è portati a pensare che esista solo quello che si riesce a vedere, per cui l’invisibile, che abitualmente sfugge all’occhio, si inserisce direttamente in quel grande insieme multiforme che è l’irreale. Ma ciò che è invisibile non è sempre sinonimo d’inesistente.
Quando raccontiamo dell’ultimo viaggio che abbiamo intrapreso capita spesso che nel bel mezzo dell’appassionata narrazione si venga interrotti da un: «Si ok, ma hai una foto?». Il mondo che abitiamo è abituato ad avere subito la conferma oggettiva di quel che ci circonda, di quel che accade, di quel che è. Eppure, per anni, anzi per secoli, bastava proprio quell’entusiasmante racconto a rendere visibile l’invisibile.
Solo vagamente ci è possibile immaginare quanto dovesse sembrare fantastico e impossibile quel meraviglioso resoconto di viaggio che è “Il Milione” di Marco Polo. Una lettura che, in mancanza di altre prove tangibili, doveva mostrarsi visionaria per la quantità di stranezze che conteneva. E così, nella mente di ogni lettore dovevano assumere immagini del tutto personali quei lontani mondi che in altro modo non potevano essere visti.
L’invisibile dunque può esistere, e può essere visto.
Marco Polo non scrisse nulla del suo viaggio ma dettò al suo compagno di cella Rustico da Pisa ciò che ricordava di aver visto e anche tutto ciò che «elli non vide, ma udille da persone», insomma, ricordi di ricordi.
Ed ecco che viaggio e memoria si incontrano e si mescolano a creare realtà alternative.
“ricordo molto di quel che ho visto”
Questa frase è di Karina Puente, architetta ed illustratrice peruviana, che dal 2015 ha intrapreso il progetto [In]visible cities.
Il titolo lascia poco spazio al dubbio, siamo di fronte al desiderio di illustrare il visionario libro del 1972 di Italo Calvino: “Le città invisibili”.
Ma è possibile realizzare le illustrazioni di un libro che racconta l’invisibile?
Si è possibile, e sono numerosi gli artisti che si sono messi alla prova proponendo soluzioni delle più disparate, spaziando dal figurativo all’astratto. Tra questi, Karina Puente offre una visione omogenea e moderna che ha come obbiettivo quello di donare un’immagine a tutte le 55 città femminili che Marco Polo racconta ogni sera all’insaziabile Kublain Kan.
“Forse quando leggo le città di Calvino ricordo molto di quel che ho visto”
Ecco come si completa in realtà la frase dell’artista che sin da piccola è abituata a viaggiare e a vivere in città profondamente diverse tra loro. Anche la Puente, come un Marco Polo ormai tornato in patria, rigetta sulle illustrazioni quello che è stata, tanto da ritrovare “un passato che non sapeva più d’avere”.
Le sue città invisibili si compongono di palazzi, di strade e dettagli che si amalgamano e si ripetono in un loop spazio-temporale per cui, alla fine, ci si perde al loro interno, proprio come in una città che non si è mai visitata prima.
Anche Calvino scrive l’ultimo poema d’amore alla città come un catalogo eterogeneo di luoghi che in realtà ben presto si riscoprono come parti integranti di “una città unica in una città continua”.
Il modus operandi creativo di Calvino e della Puente è affine. Entrambi richiamano alla memoria quello che erano fondendolo con quel che sono durante l’atto stesso della creazione. Per Calvino il libro era diventato un diario personale che seguiva i suoi umori e riflessioni per cui «tutto finiva per trasformarsi in immagini di città: i libri che leggevo, le esposizioni d’arte che visitavo, le discussioni con gli amici».
Karina Puente, rilegge più e più volte la città che si appresta a rappresentare, a volte l’ispirazione arriva in una settimana, in altri casi necessita di più tempo per sedimentarsi, per assumere una forma visiva.
Le sue visioni non sono sempre didascaliche, ci sono città che più si accostano al racconto calviniano e altre che nascono da suggestioni personali.
Zirma, la seconda città dei segni, si presenta molto vicina al testo letterario; ci sono i grattaceli, i dirigibili che volano e i treni sotterranei stipati di gente, il tutto ossessivamente ripetuto come nella memoria di Marco Polo. In questa ripetizione di segni vi si nota un dettaglio anomalo, nella Zirma della Puenta sta nevicando perché realizzata durante il periodo natalizio.
Maurilia è la città che mostra il suo nuovo volto moderno, non dimenticando mai quello che era; città vecchia e città nuova coesistono e allo stesso tempo si rinnegano vicendevolmente, poiché tra ieri e oggi non c’è più alcun rapporto se non la coincidenza fortuita di avere entrambe lo stesso nome.
La Maurilia dell’artista rappresenta questo dualismo concedendo alla città nuova costellata di grattacieli bianchi e neri il centro della scena mentre lungo i bordi si estende la dorata città vecchia, immaginata come una Venezia da cartolina.
In questa commistione di edifici, si staglia una bianca luna piena, la stessa che fiocamente illumina Lima nella sera nebbiosa in cui Karina Puente lavora all’opera.
Le illustrazioni dell’artista peruviana nascono come si sviluppano le città, strati di carta che si sovrappongono e disegni che ruotano attorno a quel che già esiste, il tutto in una pulita tricromia di nero, bianco e ocra.
Una tecnica mista che si rifà alla progettazione dei modelli architettonici tanto amati in gioventù.
La Puente è stata più volte accusata di presunzione, «come puoi rendere visibile l’invisibile!»; un sacrilegio per cui siamo tutti colpevoli quando leggendo “Le città invisibili” ci raccontiamo, in fin dei conti, la nostra città interiore.
La nostra casa.
«Sire, ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco.»
«Ne resta una di cui non parli mai»
Marco Polo chinò il capo.
«Venezia, » disse il Kan.
Marco sorrise. «E di che altro credevi che ti parlassi?»